“La vera innovazione avviene attraverso l’interazione tra user e produttore. Gli strumenti che facilitano questo scambio promuovono l’innovazione, quelli che la ostacolano vanno rimossi.” E. Von Hippel
Ridurre i tempi ed i costi d’investimento è oggi una necessità vitale per le aziende, ma è anche fondamentale anticipare il mercato con nuovi prodotti tecnologicamente avanzati ed adeguare i processi aziendali non appena se ne è avuta l’intuizione, appropriandosi così del vantaggio di arrivare per primi. Su questo punto le aziende scontrano due fattori: accelerare i tempi dell’innovazione e contenere i costi di ricerca. Questi ultimi sempre più elevati in quanto richiedono l’utilizzo di molteplici tecnologie afferenti a campi diversi della scienza e l’integrazione di competenze sempre più specialistiche, il tutto finalizzato all’immissione nel mercato di un prodotto competitivo.
Il settore delle PMI in Italia, il più grande dell’UE per numero di imprese, è composto da circa 3,81 milioni di imprese, di cui 3,6 milioni di microimprese che occupano meno di 10 dipendenti, questo dato ci fa comprendere quanta sia difficile sviluppare competenze interne necessarie per l’innovazione, a cui dover affiancare conoscenze e tecnologie esterne, provenienti da altre imprese ed anche da altri settori: centri di ricerca, università, esperti, fornitori, consumatori.
L’ ”Open Innovation”, anche nota come innovazione esterna o in rete, rappresenta un cambiamento da un modello tradizionale, in cui il 100% dell’innovazione di un’impresa origina dal suo interno, a un modello più aperto dove idee interne ed esterne vengono combinate per creare un maggior vantaggio collaborativo.
“Napoli Open Innovation”
Protagonista dell’articolo odierno è l’associazione NOI (Napoli Open Innovation) la cui mission è diffondere il paradigma dell’Open Innovation nel Mezzogiorno d’Italia. A tal fine, abbiamo intervistato il prof. Amedeo Lepore, presidente dell’associazione NOI, docente di storia economica e dell’impresa alla Seconda Università degli Studi di Napoli ed alla Luiss, membro del consiglio di amministrazione e del comitato di presidenza dello SVIMEZ e presidente del comitato-tecnico scientifico dell’AISM (Associazione Italiana Marketing).
Prof. Lepore, come è nata l’iniziativa dell’associazione Napoli Open Innovation?
L’associazione NOI nasce da un incontro casuale avvenuto durante un convegno con Costantino Formica, ex presidente del Cesvitec e segretario generale dell’associazione, in cui è emersa la visione comune della rete come potente elemento di innovazione. Ho iniziato ad occuparmi di queste tematiche quando insegnavo marketing evolution all’Università di Bari. L’epoca postfordista che stiamo vivendo è sempre più legata alla crescita dei mercati di nicchia che ad oggi, assumono un ruolo fondamentale rispetto al passato in quanto, proprio attraverso la rete, la somma delle loro vendite, diventa significante e non vengono più visti come episodi disaggregati e frammentati, ma rappresentazione di una grande opportunità nel contesto del fenomeno definito “coda lunga”. La rete determina l’amplificazione della crescita di singole esperienze, sinergie e relazioni che diventano portatrici di maggior profitto rispetto al passato. Ad esempio, una piccola impresa, attraverso la rete, può entrare in contatto con esperienze analoghe e quindi realizzare sinergie valutando sbocchi di mercato e/o di approvvigionamento praticamente infiniti. Questo vale sia per le imprese totalmente connesse ma anche per le imprese ibride. Oggi è possibile realizzare prodotti, immagazzinarli, promuoverli e distribuirli a costi molto bassi, giacché occorre gestire soprattutto la loro rappresentazione virtuale attraverso la rete con la conseguenza che si può produrre un prodotto dal momento in cui viene richiesto dal mercato (ad es. un libro cartaceo viene materialmente prodotto solo al momento dell’ordine). Le barriere all’ingresso e i costi sono diventati talmente bassi che possono giustificare le attività on line di un amatore oppure lo sviluppo di aziende di successo che possono conseguire in tempi brevi significativi ed importanti risultati di business.
Cosa cambia oggi con il paradigma dell’Open Innovation?
L’Open Innovation rivoluziona il concetto classico di gestione della conoscenza, del trasferimento tecnologico e della ricerca e sviluppo (R&S). Ad oggi, un’azienda che voglia acquisire elementi di nuova conoscenza oppure, che voglia realizzare nuovi prodotti e/o servizi e non abbia la possibilità economica di un comparto interno di R&S o nel caso di aziende di grandi dimensioni, che vogliano contenere i costi, può rivolgersi ad una delle tante piattaforme di crowdsourcing, come ad es. Innocentive (www.innocentive.com). L’obiettivo primario di questi portali è di connettere chi è alla ricerca di conoscenze scientifiche e industriali, con chi invece le possiede. Le piattaforme di crowdsourcing codificano le richieste, le trasformano in quesiti che sono posti alla rete, sotto forma di challenge che sono poi girati ad esperti, in pratica talenti o ricercatori. Il talento che fornirà la risposta ritenuta migliore, riceverà un premio tipicamente in denaro. I risultati che si ottengono con questo nuovo paradigma sono nettamente migliori di quelli ottenibili con qualunque reparto di R&S aziendale che può contare, per le aziende più grandi, su qualche centinaio di persone contro l’intera rete messa a fattor comune dalle piattaforme di crowdsourcing.
In Italia, il crowdsourcing/crowdfunding si è appena affacciato ma ha un primato tutto suo: quello di una produzione normativa specifica, con particolare riferimento alla fase d’incubazione delle start-up innovative (legge 221/2012 e il recente nuovo regolamento Consob del 26 giugno 2013). Professore, questo è un modello molto interessante, ma come viene gestito il tema della proprietà intellettuale (IP)?
Questo tema in rete è adesso soggetto a forti cambiamenti. In passato, l’imitazione è sempre stata vista come un qualcosa di negativo. Ciò non era vero all’inizio della rivoluzione industriale, quando gli esperti che conoscevano l’industria inglese, esportarono i modelli ed i progetti delle prime fabbriche consentendone la diffusione nel resto d’Europa e del mondo.
Ma negli ultimi tempi, si sta diffondendo una nuova consapevolezza; la cosa più importante è riconoscere i cambiamenti, sapersi inserire in essi e trasferirli in un patrimonio comune da cui si costruisce ulteriore conoscenza. Da tutto ciò ne discende quell’importante filone legato alla libertà della proprietà intellettuale: basti pensare alle licenze creative commons, all’open source, tutti concetti validi sia nel campo del software che delle nuove idee.
All’interno delle diverse piattaforme c’è la possibilità di registrare immediatamente la nuova idea e tutelarne così la proprietà intellettuale, occorre però precisare che questo è vero soprattutto negli USA dove la brevettabilità è più flessibile rispetto al vecchio continente. Questo sistema ha poi creato un secondo mercato, giacché tutte le buone idee che non sono state ritenute idonee per essere introdotte sul mercato, possono essere vendute attraverso le piattaforme di crowdsourcing ad altre aziende anche di dimensioni più piccole. Altro elemento importante, reso possibile dal crowdsourcing, è quello di poter offrire sostegno alle idee creative provenienti da giovani talenti che possono essere sviluppate, attraverso finanziamenti della collettività o da importanti donazioni da parte delle fondazioni di grandi imprese.
Quale è il contributo locale offerto dall’associazione NOI?
Il contributo che l’associazione Napoli Open Innovation intendeva offrire si è scontrato con le difficoltà sociali, economiche e culturali del nostro territorio che noi tutti conosciamo e viviamo, difficoltà che hanno impedito finora di dare la giusta valorizzazione alle nostre eccellenze sia all’interno del mondo delle imprese che nel campo della ricerca, dove il rapporto tra i risultati prodotti e gli investimenti, ci vede tra i primi posti a livello internazionale.
La frammentazione non consente lo sviluppo, aumentando il fenomeno della fuga dei nostri cervelli, costretti ad emigrare al Nord oppure sempre più all’estero per riuscire ad affermarsi ed inserirsi socialmente e professionalmente. Il maggiore sforzo che l’associazione sta facendo oggi è quello di fare capire che grazie alla rete, i giovani possono trovare nuove professioni e lavori globali senza muoversi dal nostro territorio e le tante aziende di eccellenza che abbiamo, possono aprirsi a nuovi mercati, aggregandosi in rete per crescere e competere su mercati globali senza essere costrette a fare da subito importanti investimenti all’estero.
Alcuni indicatori evidenziano in modo inequivocabile la grande arretratezza del nostro Paese rispetto a quelli più evoluti, ma alcune regioni, come la Campania e la Puglia, stanno sviluppando un’infrastruttura di rete molto evoluta, che può consentire un’importante occasione di rilancio del Mezzogiorno. Una dotazione infrastrutturale cosi rilevante potrebbe attrarre importanti investimenti. I nostri talenti e le nostre imprese, oggi sottoutilizzate, potrebbero essere impiegate al meglio, grazie al completamento di questi progetti infrastrutturali.
D’altra parte occorre far comprendere alle aziende che sono troppo impegnate nella visione a breve termine a discapito dell’importanza di fare rete per crescere.