“Le leve dell’innovazione” è il titolo del Blog sul quale mi accingo a scrivere riprendendo un rapporto familiare con una testata alla quale, su carta, alcuni anni fa ho dedicato un po’ del mio impegno con l’obiettivo di fare dell’empowerment su materie che oggi hanno una ampia diffusione ma che ieri erano considerate la nuova frontiera.
Parlare di innovazione è oggi non solo una moda, un imperativo, un modello: è, in altri termini, tutto. Non c’è tema o argomento che non evochi la esigenza di includere il termine innovazione e tutto il portato che ne deriva fatto di tecnologie, di sistemi, di applicazioni, di ricerca, di piani strategici ed operativi, di big data e di una infinita filiera di opportunità.
È anche difficile fare una scelta sulle priorità degli argomenti che possono interessare il lettore, supponendo che tutti siano attratti, vuoi per curiosità vuoi per infinite ragioni anche di natura pratica, dallo stimolo di approfondire le implicazioni che le diverse branche dell’innovazione proiettano sulla vita di tutti i giorni o dal più semplice spirito emulativo imposto dall’essere alla pari con i tempi.
La sciagura della Pandemia, purtroppo, ha dato una accelerazione, di cui avremmo fatto volentieri a meno, a tutti gli aspetti delle più importanti leve che questo termine include, nessuno escluso.
Smart working, e-learning, e-healt, etc non sono più termini astrusi e non conosciuti e noti solo agli specialisti ; sono entrati nel lessico familiare di tutti i ceti, dei cittadini comuni, dei lavoratori, degli insegnanti, degli ammalati che pretendono l’assistenza a distanza, degli alunni che aspirano a collegamenti in rete efficienti e capaci di una buona interazione con gli insegnanti, degli attori che hanno scoperto una modalità rappresentativa nuova ed intrigante che aumenta perfino l’audience. La lista è lunga.
La pandemia ha fatto scoprire in maniera affrettata e superficiale modalità nuove di gestire le relazioni, ha aumentato il ricorso a modalità di comunicazione che sino a ieri venivano snobbate e considerate il male rispetto alla gestione in presenza di tutti i momenti convegnistici, rispetto agli incontri caratterizzati dalla fisicità dei confronti e dallo scambio formale di effusioni dato dagli abbracci e dai saluti con vigorose strette di mano.
Ha addirittura dato un impulso sfrenato ai pagamenti elettronici con carte, relegando il contante ad una funzione quasi ancillare.
Per dare una idea delle ricadute che si sono prodotte in ambiti noti solo agli specialisti sembra utile segnalare che nell’anno appena chiuso, dinanzi ai dati disastrosi della caduta dei pil in tutto in mondo, i titoli quotati nelle delle aziende tecnologiche, delle OTTP ( Over the Top) e non solo, hanno fatto registrare aumenti del loro corso a due cifre: Apple + 83,72; Amazon + 79,78; Twitter +69,61; Adobe + 52,24; Microsoft +42,14 segno dell’interesse degli investitori verso un settore in espansione e che lascia prevedere sviluppi anomali del business e un’alta redditività.
Il dato più indicativo è quello della corporate Zoom, azienda sconosciuta sino ai primi mesi dell’anno passato, che ha visto salire il suo apprezzamento del 419,80 % e che è divenuta la soluzione di elezione non solo dei privati ma di un gran numero di imprese importanti che ne fa un uso quotidiano per agevolare il lavoro a distanza dei colletti bianchi e per tutte le esigenze di qualsivoglia genere, meeting compresi.
Avremmo preferito un approccio più graduale, meditato e programmato, quale conseguenza di un cambiamento che era nell’aria e che era necessario perché richiesto dai tempi; un approccio più consapevole rispetto ad una bulimia che sta facendo diventare odiosa e negativa una modalità utile e necessaria. Richiederà comunque un riequilibrio anche se è prevedibile che non se ne potrà più fare a meno per tante ragioni.
Avremmo preferito rispetto a tutti gli ambiti e contesti della innovazione una salita graduale che evitasse il rigetto delle soluzioni imposte dalla necessità di cui si accettano al momento, perché costretti, le adozioni, ma di cui intimamente si rifiutano le filosofie; è il caso della e-learning nelle università tanto avversata e snobbata nel tempo, della telemedicina vista come rimedio necessario alle insufficienze della cosiddetta medicina territoriale, e di certo mal percepita dalla categoria e forse anche dai pazienti, e di tante altre opzioni che invece una ragionata costruzione di nuovi modelli sociali può contribuire a diffondere.
Naturalmente il perimetro di queste considerazioni vale per il nostro paese perché la innovazione e tutte le sue numerose declinazioni hanno una articolazione per intensità, contenuti e modelli, differente e diversa da paese a paese.
Nessuno può immaginare che tra i paesi dove è più sviluppato l’uso delle tecnologie di rete ci fosse anche il pianeta Africa che già 5 anni fa contava 650 milioni di cellulari, contro i tre miliardi dell’Asia (dati di cinque anni fa); tutti i paesi del Nord Europa hanno raggiunto condizioni ottimali di comunicazione in rete già da qualche decennio fa, perché costretti dalle condizioni climatiche e dalle distanze.
E-learning è in questi paesi la sola soluzione praticabile per la scuola e le Università, quanto meno quella preferita e largamente adottata.
Innovazione, come tutti sanno per le necessarie letture che si stanno facendo sulle prime bozze del Next Generation Eu del Recovery Plan, il piano che il governo deve presentare all’Europa per i 209 miliardi da spendere, è la parola chiave di quasi tutte le tracce operative.
In esso si legge tra l’altro: “modernizzare il paese significa disporre di una pubblica amministrazione efficiente, digitalizzata, ben organizzata, veramente al servizio del cittadino; significa creare un ambiente favorevole alla innovazione, promuovere la ricerca, utilizzare al meglio le tecnologie disponibili, …” “La digitalizzazione è infatti indispensabile per l’utilizzo delle tecnologie che consentono processi industriali efficienti ed un maggior controllo degli sprechi lungo la catena della produzione”
Queste le dichiarazioni di volontà e la professione di fede spese nel piano da coloro che lo hanno curato e degli organi di governance del paese Italia rispetto al tema della Innovazione.
È possibile confidare sulla ulteriore confessione pubblica di un documento strategico che prende atto dell’insufficienza nel quale versa il paese Italia?
Questa volta pur con tutte le riserve che riguardano i piani ed i numeri, eccessivi rispetto ai reali fabbisogni per quanto attiene la voce digitalizzazione, si è tentati di pensare in positivo per una sola ragione: perché la spesa e le fasi realizzative sono sotto il controllo dell’Europa che ci marcherà a vista e ci chiederà conto degli investimenti, dei costi e dei risultati che volenti o nolenti dovranno essere raggiunti pena la mancata erogazione dei fondi rispetto ai successivi piani di somministrazione.
È la prima volta che si leggono queste dichiarazioni? che si fanno questi assunti? No.
Sono contenute in tutti i piani digitali della Pa (pubblica amministrazione) a partire dal 2003 in avanti; piani che hanno comportato, con esiti alterni, anche investimenti non di poco conto.
L’Italia ha aderito all’Europa ed alle sue regole quasi sempre con spirito consapevole ed in buona fede, convinta che l’insieme dei sistemi suggeriti, ed anche imposti via via, costituissero condizioni essenziali per la sopravvivenza del paese, cosi nell’area della finanza (vedi Euro), e nell’area delle cinque “E”: e-learning, (formazione e didattica) e-commerce (commerci0 B2b), e-gov, ( pubblica amministrazione ) e-business ( imprese ) e-health ( medicina).
Le cinque “E”, contenute nella prima risoluzione del consiglio Europeo del novembre 1996 e nell’Action plan di Lisbona del marzo 2000, vengono ribadite nel piano strategico dell’Europa del 2005; in esso si diceva che “la società deve poggiare su tecnologie aperte ed intercomunicanti, fatte di grandi reti di telecomunicazioni, fatta di grandi data base capaci di ospitare miliardi di informazioni al punto da far definire il nuovo ordine sociale come società della conoscenza , cioè del sapere, reso possibile oltre che dalla forza delle capacità elaborative disseminate ovunque, idonee a gestire miliardi di informazioni anche distribuite in basi diverse ed in aree geografiche lontane centinaia di chilometri”
Le difficoltà che la Pubblica amministrazione, purtroppo, ha incontrato ed incontra, meglio definibili come resistenza al cambiamento, nei settori di sua specifica elezione, pur con risorse e dotazioni finanziare discrete, hanno di fatto bloccato lo sviluppo della Innovazione ( anche l’alternanza della politica non è stata di aiuto ed ha generato discontinuità nell’azione ) al punto che in tutte le rilevazione sullo stato dell’arte ( indice DESI dell’Eurostat ) ci ritroviamo ad occupare da anni gli ultimi posti della graduatoria nel sistema dei paesi a 27. Il quartultimo nella rilevazione 2020.
Ma siamo all’ultimo miglio. Ora siamo chiamati a fare e non più solo a discutere, discettare dei massimi sistemi. Siamo chiamati nel quadro del Next Generation Eu a fare delle scelte ed anche a sconvolgere degli equilibri con una disruption che aiuti poi alla costruzione definitiva con scelte che sono anche di ordine cultural della società nel disegno complessivo di una Europa che deve poter completare in maniera uniforme ed integrata il piano di Lisbona del 2005 per concorrere con altri sistemi più avanzati di noi (Usa e Cina)
Uno sforzo iniziale sembrava dar conto, qualche anno fa, di buone intenzioni da parte della governance pubblica tant’è, che pur con tante difficoltà il paese, patria del diritto, si è dotato di un corpus iuris con il titolo di codice digitale, un patrimonio di regole pubbliche e private che doveva disciplinare la cittadinanza digitale di tutti i soggetti del sistema: privati, imprese e pubblica amministrazione. Ma scrivere le norme non significa darvi vita. Scrivere è un momento concettuale cui deve seguire il dato concreto difetto non piccolo del nostro paese.
Il progetto italiano sulla digitalizzazione, che sarà pervasivo ed ampio, sarà parte di quello complessivo dell’intera Europa. Sarà parte di un insieme, diretto a costruire con le risorse tipiche delle tecnologie, una più stretta integrazione che avrà alla base non solo le modalità comunicative ma il mondo dei dati come la Presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen ha puntualmente disegnato nel suo discorso dello scorso luglio che vale la pena di riportare in maniera sintetica ma testuale:
“la quantità di dati industriali nel mondo si quadruplica nei prossimi cinque anni, così come le opportunità che ne deriveranno. Ora dobbiamo dare alle imprese, alle medie imprese, alle start up ed ai ricercatori l’opportunità di trarne il massimo vantaggio. I dati industriali valgono oro quando si tratta di sviluppare prodotti e servizi. Tuttavia, la realtà è che l’80% dei dati viene raccolto e non utilizzato. Questo è uno spreco. Una vera economia dei dati, d’altra parte, sarebbe un potente motore per la innovazione e per nuovi posti di lavoro: Ecco perché dobbiamo proteggere questi dati per l’Europa e renderli ampiamente disponibili. Per questo abbiamo bisogno di spazi di dati “comuni”, ad esempio, nel settore della energia e della salute.”
Per una lettura dell’intero testo in italiano si rinvia al link
http://www.federda.it/wp-content/uploads/2020/09/Commissione-europea-discorso-della-presidente.pdf
Meno male che l’Europa c’è perché insieme alle tante modalità con cui si esprime l’innovazione, un medico illuminato, la Presidente della Commissione Ue, in un messaggio istituzionale forte ricorda che la benzina di tutti i motori tecnologici sarà assicurata da una fonte inesauribile: quella dei dati.
Federico D’Aniello